Cronaca di un Derby italico nel Delta del Fiume delle Perle

Il testacoda fra Shenzhen e Guangzhou Evergrande ha messo di fronte anche i due tecnici italiani della Chinese SuperLeague: Donadoni e Cannavaro. Storia di un match nel Guangdong – e di quello che ci sta intorno. Almeno agli occhi di un occidentale.

L’Universiade center di Shenzhen è ubicato fuori dal centro di Shenzhen, ammesso che si possa dire che un centro esista a Shenzhen, nona città al mondo per numero di abitanti, terza per numero di grattacieli, che fino agli anni ’80 era un tranquillo borgo di pescatori nei pressi del confine con Hong Kong. Ora è invece Hong Kong che si trova nei pressi di Shenzhen, nuova capitale hi e low-tech della Repubblica Popolare Cinese, che attrae talenti da tutta la Cina, e oltre.

Tra questi talenti, in campo non esattamente tecnologico, c’è anche quello di Roberto Donadoni, venuto qui per rilanciare la sua carriera – e anche in parte, stimiamo, per i 5 milioni euro netti a stagione.

Venerdì 18 ottobre è quindi andato in scena quello che a tutti gli effetti è il derby del Delta del Fiume delle Perle, la regione più ricca e popolosa della Cina (120 milioni di abitanti), tra il favoritissimo Guangzhou Evergrande, già vincitore della Champions League asiatica, e il Shenzhen Kaisa, invischiato in piena lotta per evitare la retrocessione.

Sulla panchina degli ospiti, la squadra che per il governo cinese deve fungere sostanzialmente da incubatore per la nazionale, siede Fabio Cannavaro, tra gli allenatori più pagati al mondo insieme al collega Marcello Lippi, tornato a dirigere la nazionale cinese dopo le aperture concesse dal Partito sulle naturalizzazioni.

Il divario tecnico tra i due team si palesa sin dal calcio d’inizio: tra gli ospiti, Paulinho e il “prossimo cinese” Elkeson sono su un altro livello, ma anche il capitano Zheng fa vedere buoni spunti in mediana. Il ritmo del match è piuttosto intenso, anche agli occhi di un occidentale, le trame di gioco ben impostate sono guastate da ambo le parti più dalle scarse capacità dei singoli di interpretare i moduli (entrambi piuttosto coperti), che dall’impostazione tattica in sé e per sé. Sotto 2-0 nei primi 20’, Donadoni intuisce che è il caso di cambiare qualcosa, e gioca la carta John Mary, prima punta camerunense (di origine nigeriana), con un passato già importante in Asia (è stato campione di Thailandia con il Buriram). L’intuizione si rivelerà azzeccata perché il possente centravanti, affiancato a Preciado, segnerà entrambe le reti per i padroni di casa, la prima delle quali qualche minuto prima dell’intervallo.

Sugli spalti, il tifo dei campioni di Cina è incessante, mentre i circa 20.000 presenti nel bell’impianto di Shenzhen sono un po’ più disorganizzati come tifo – per quanto sia ammirevole il sincronismo degli sbandieratori locali, livello Palio di Siena. I supporter rossi si limitano a interagire con quelli dell’Evergrande rispondendo ai loro cori con insulti: 傻逼,shabi, ovvero all’incirca “stupidi”. Uno sfottò che genererà tra il pubblico un’ilarità forse eccessiva, almeno agli occhi di un occidentale.

Nella ripresa, il Guangzhou andrà poi nuovamente in rete con Elkeson, prima del gol finale ancora di John Mary, in pieno recupero, che vale più per i tabellini che per un vero e proprio tentativo di rimonta dei locali.

Donadoni, scuro in volto, a fine match stringe in fretta e furia la mano del collega. Nessun abbraccio, nessuno spazio al sentimentalismo: la via per gli spogliatoi è già presa, perché evitare la retrocessione della squadra di una delle 4 città “1st tier” è un imperativo morale per poter riottenere il visto, ancor prima che la conferma alla guida del team.

Il Fabione nazionale invece si intrattiene a lungo a parlare con il suo staff e con quello degli avversari, e indulge anche a salutare il pubblico locale che lo acclama. Il centrale campione del mondo ripaga i supporter elargendo baci con una teatralità spontanea che conferma tutti gli stereotipi sugli italiani che i cinesi si aspettano dai nostri compatrioti.

Fuori dallo stadio, a fine partita, le tifoserie dai colori sociali identici sciamano verso le diverse entrate della metro, o nell’attesa del prossimo taxi elettrico della BYD, la “Tesla” locale, mischiandosi senza rivolgersi nessuno sguardo particolare. Una prassi che non dovrebbe risultare degna di nota di cronaca, ma che, colpevolmente, finisce per essere invece sorprendente. Almeno agli occhi di un occidentale.

 

Filippo Lubrano – Consulente di business development per l’Asia, giornalista.

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