Furio Zara racconta l’arrivo in Italia di Ma Mingyu e la squadra Risiko di Gaucci

Ma Mingyu è stato il primo giocatore cinese ad essere approdato in Italia, al Perugia di Gaucci. Un esperimento fallimentare dato che il capitano della nazionale cinese non ha mai esordito in Serie A. Furio Zara, giornalista del Corriere dello Sport, al tempo fu l’unico ad accogliere e intervistare Ma Mingyu all’aeroporto di Fiumicino e racconta a Blog Calcio Cina, i ricordi di quella giornata nell’estate del 2000.

Furio Zara racconta l’arrivo in Italia di Ma Mingyu e la squadra Risiko di Big Luciano

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A cura di Furio Zara*

Spaurito. Smarrito. Intimorito. Magro, troppo magro. L’incavo degli occhi solcato da un’ombra, che quel giorno fu facile giustificare con il sonno arretrato, il fuso orario da smaltire, l’inizio di una nuova avventura. Quando il “Corriere dello Sport” mi mandò ad accogliere e intervistare il primo cinese della serie A, andai a Fiumicino con la curiosità di chi ha la fortuna di avere tra le mani le chiavi di una stanza segreta.

Del calcio in Cina, in quell’estate del 2000, sapevamo tutti davvero molto poco. Si chiama Ma Mingyu, aveva ventotto anni, o forse trenta e pure di più, come tradivano i lineamenti del viso, le rughe, lo sguardo che aveva perso la gioventù, diciamo che ci fu un po’ di confusione in merito, era capitano della nazionale, giocava a centrocampo, così ci raccontò. L’aveva preso il Perugia dei Gaucci, erano i tempi della squadra-risiko: “Big Luciano” sguinzagliava i suoi dirigenti in giro per il mondo e pescava calciatori di tutte le nazionalità. Poco prima di Ma erano arrivati il coreano Ahn Jung-Hwan e l’iraniano Mohammed Alì Karim, ma quest’ultimo sarebbe rimasto da noi il tempo di un paio di allenamenti, per poi essere rispedito come un pacco a casa. E poi: il giapponese Nakata aveva fatto fortuna col Perugia, perché Ma non poteva ripeterne le gesta?

Ebbene: il tabellone degli orari diede il volo della AirChina CA939 in arrivo da una città inesistente, Likoma. Scherzi del computer: in realtà era Pechino, Ma arrivò a Roma dopo tredici ore di viaggio e uno scalo a Malpensa. C’era stato anche un contrattempo alla frontiera, per via di un visto scaduto. Non c’era nessuno ad aspettarlo. Il vostro cronista e il fotografo del giornale, che con grande saggezza, appena lo vide gli gettò al collo una sciarpa del Perugia opportunamente rimediata da qualche parte. Me lo ricordo bene: indossava una t-shirt giallina, i pantaloni erano scuri, troppo pesanti per quei giorni di afa. Era accompagnato dalla minuscola moglie, Le Thian, e dall’interprete personale, il giornalista Xiyuan Roberto Dong. La figlioletta di due anni e mezzo, Ma Yu Wen, era rimasta in Cina da una zia.

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A riceverlo, un dirigente del Perugia. Per prima cosa Ma – che non parlava alcuna lingua se non il dialetto cinese – disse con l’aiuto dell’interprete che si sentiva “come una finestra”. Cercai di capire cosa intendesse, mi spiegò di “essere orgoglioso di giocare in Italia, Perugia rappresentava una grande occasione” e lui voleva “far conoscere il calcio cinese agli italiani”. L’interprete ci confidò che quando Ma se n’era andato da Cheng-Du, al campo di allenamento erano arrivati più di mille tifosi, tutti per lui, per fargli l’in bocca al lupo. Era uno che ce l’aveva fatta.

Quel giorno scrivemmo che Ma era un centrocampista, lo chiamavano “Cavallino” perché correva sempre, non si stancava mai e anche perché il suo nome – Ma – in cinese ha una certa assonanza con “Maer”, che significa appunto piccolo cavallo. Il Perugia l’aveva comprato dallo Sichuan-Quanxing. Prestito gratuito di un anno con diritto di riscatto. A consigliarlo a Gaucci era stato Bora Milutinovic, il ct giramondo, che in Cina adoravano. La chiacchierata durò una mezzora abbondante, Ma raccontò di sé, dei suoi sogni, di cosa si aspettava dal nostro campionato, dei suoi idoli – “Maldini è il giocatore italiano più forte al mondo” disse – di quanto era stanco e del vestito nuovo – “di marca italiana” – che si era preso proprio a Pechino, per fare bella figura in Italia.

Ci salutammo affettuosamente, lo vidi avviarsi verso il taxi spingendo il carrello dei bagagli, zavorrato da una responsabilità – rappresentava l’intera Cina! – che alla fine pagò cara. Il resto è storia nota: Ma non si ambientò mai, soffrì il carico degli allenamenti, non legò con Cosmi, non giocò nemmeno una partita ufficiale in serie A, tornò in Cina dove pochi anni dopo chiuse la non prima – però – di aver partecipato al Mondiale del 2002, giocando pure contro il Brasile. Fu facile, dopo un po’, derubricarlo alla voce “Bidoni”. Era stato un fantasma. Un tentativo non riuscito. Un azzardo sghembo e inopportuno. Era stato il primo cinese a (non) giocare in Italia. Passò come una meteora, in un cielo che non aveva tempo e voglia di riconoscerlo.

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* Furio Zara, 46 anni, giornalista e scrittore, scrive per il “Corriere dello Sport”, “Repubblica”, “Avvenire”, “Vanity Fair” e “Calciomercato.com”. Ha seguito Mondiali, Europei ed Olimpiadi. Collabora a “L’Italia nel pallone” a Radio Rai. Ha vinto vari premi tra cui il “Coni-Ussi” quale miglior giornalista sportivo della carta stampata e il “Beppe Viola”. Tra i suoi libri il più celebre è “Bidoni”, che ha dato inizio ad un nuovo modo di raccontare il calcio.