Inner Mongolia-Calcio di Frontiera: Daniele D’Eustacchio, da Melzo a Wuhai, racconta il calcio nel deserto

Nuovo appuntamento con la Rubrica del Calcio di Frontiera cinese. Dopo lo Yunnan e lo Xinjiang, questa volta Blog Calcio Cina vi porta in Mongolia Interna, precisamente nella città di Wuhai, dove risiede Daniele D’Eustacchio, chiamato ad istruire una città e un’intera provincia al calcio. Dopo aver lasciato l’Italia Daniele è approdato a Shanghai, dove ha lavorato e giocato a calcio prima del grande salto verso una provincia ancora ignota e piena di mistero, dal grandissimo potenziale economico e calcistico. Lo stesso governo della Mongolia Interna ha varato un piano di riforma sportivo che Daniele sta cercando di attuare nell’estremo nord della Cina, fra mille difficoltà ma con un disegno ben preciso, per mettere in evidenza sulla mappa, nel deserto del Gobi, la città di Wuhai.

Da Melzo, un comune di 16.000 abitanti in Lombardia sei giunto in Cina tre anni fa. Come è nata l’idea di questa svolta?

Dopo essermi laureato in economia aziendale sono partito per l’esercito, dove sono stato per un anno e mezzo fra Verona e Treviso, poi sono tornato a Milano, a lavorare in banca al cambio valuta all’aeroporto di Linate. Li ho conosciuto un ragazzo che è diventato mio amico, non eravamo sicuri se restare o meno dato che ci avevano stipulato un contratto da un anno, per cui abbiamo deciso di andarcene a Shanghai. Li ci siamo iscritti in una scuola, perché era l’unico modo possibile per ottenere un visto scolastico. Abbiamo fatto per sei mesi un corso di cinese alla mattina in una scuola, e attraverso di essa ci siamo addentrati nel mondo lavorativo.

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Una partita a Shanghai

A Shanghai hai giocato in una specie di Serie B del campionato cittadino. Come è strutturato il calcio amatoriale nella municipalità? Conosciamo bene il professionismo in Cina, ma per quanto riguarda altre attività vi sono notizie solo in lingua cinese.

Sotto al professionismo funziona in stile Nba, ovvero Università, Scuole e società creano le loro squadre che si disperdono in sottogironi che si dividono in base ai distretti a Shanghai. La mia squadra era stata fondata da un boss cinese, che tramite la sua società gestisce qualcosa come 20 Nightclub (ovvero discoteche) a Shanghai più alcuni ristoranti. Per cui ha messo i fondi per la creazione della squadra, aggiudicandosi i migliori giocatori, e fra questi sono stato scelto pure io. Avevamo le nostre divise, canali video, pubblicità che trasmettevamo su internet, flyer che ritraevano me e la squadra, funzionava tutto perfettamente. Il campionato si componeva di quattro gironi, con le prime due che andavano a giocare i playoff. Siamo arrivati in finale con la stessa del nostro girone e poi abbiamo perso 2-1. Vincevamo anche, lascia perdere…

Nel blog The Mumblers, gestito da un ragazzo inglese che vive proprio a Shanghai, ho letto i prezzi di affitto di alcuni campi che sono esorbitanti. Questo leggevo per l’11v11
-Jinqiao: £230
-Waigoaqiao and Century Park: £460 – £574 (members) or £690 – £920 (non-members).
E’ una situazione che hai riscontrato pure te?

I prezzi dei campi sono fuori da qualsiasi concezione di buon senso e sono tutti sintetici. Da noi un campo ti costa 100 euro, che diviso fra tutti i componenti di una squadra la spesa è quasi irrisoria. Il prezzo medio in cui mi sono imbattuto a Shanghai è di 300 euro, senza alcun servizio, spesso non avevano nemmeno gli spogliatoi. Prenotare un campo è impossibile, se vuoi andare a giocare domani e fai una ricerca fra 200 campi a Shanghai e non ne trovi uno libero. Inoltre si deve pagare la reservation, quindi si prenota pagando l’intero prezzo, se non vai poi sono cavoli tuoi, loro vogliono i soldi subito, perché se gli rimane il campo vuoto non possono coprirlo. I gestori dei campi affittano anche le strutture alle società, quindi il mio boss pagava qualcosa come 10.000 euro all’anno per usufruire del campo ogni mercoledì.
Shanghai è una città iper tecnologica, una distesa di palazzi, grattacieli. Come sostengo, a Pechino si vive in larghezza, mentre a Shanghai in altezza. Tutto è negli edifici, non c’è quasi nulla fuori, per cui spesso i campi da calcio dentro i palazzi, ma nessuno lo sa. I campi che stanno all’esterno sono troppo famosi, costano troppo e non vi è possibilità di metterci piede.

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Da una città futuristica e piena di opportunità come Shanghai, a Wuhai nella Mongolia Interna. Quali sono i fattori che ti hanno spinto a un secondo cambio così radicale?

Tramite amici di amici di amici, ovvero il concetto di guagxi (network di relazioni personali importantissimo per lavorare in Cina) mi hanno detto che Owen stava arrivando a Shanghai, e che cercava due persone, un portiere e un giocatore. Non so chi, ma le mie conoscenze hanno convinto Owen che io somiglio a Beckham. Te dimmi se è una cosa normale… Fatto sta che mi contatta l’agente di Owen per uno spot pubblicitario. Alla fine ho fatto la sua controfigura nei dribbling e nei trick. Le foto con Owen mi hanno portato a farmi conoscere di più e successivamente sono arrivate delle richieste, una da Pechino, tramite un ragazzo originario dell’Inner Mongolia. Wuhai non è troppo distante dalla capitale, da qua è un’ora e mezza di volo. Lui mi ha chiesto se volevo far parte di un progetto calcistico governativo, per cui non si trattava assolutamente di qualcosa di aleatorio. Tutti in Cina fanno gli allenatori, anche a Shanghai, ma nessuno ti da un contratto o un working visa a meno che non crei una tua scuola calcio. Questo progetto dell’Inner Mongolia è tutt’altra cosa, sono il quarto allenatore ufficiale italiano della federazione, dopo Lippi Ferrara e Cannavaro. Poi ce ne sono a migliaia che vagano per le scuole pubbliche e internazionali, ma nessuno di loro è riconosciuto come ufficiale. E fidati, è difficile che prendano in via ufficiale italiani o stranieri per allenare i giovani, perché allo stato attuale non esiste un progetto che valorizza il calcio giovanile. Gli unici che si stanno muovendo seriamente sono i tedeschi, che hanno appena firmato un contratto, nel quale la federazione manderà in Cina i propri allenatori, perché vi sono già le academy e le scuole calcio delle società professionistiche.

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Owen e Daniele D’Eustacchio

Quale è il tuo obiettivo calcistico in Inner Mongolia? Ora stai insegnando calcio nelle scuole, ma c’è un disegno più grande al quale aspiri?

Fondare un club. Qua hanno tanta voglia di investire, vogliono diventare grandi quasi subito. Con il mio arrivo nella scuola hanno cambiato addirittura il campo. Vedono che c’è un servizio da offrire e fanno quello che possono, perché i soldi qua in Inner Mongolia ci sono. Qua sono molto forti, soprattutto nel vino bianco,  la carne è la migliore di tutta l’Asia. Nessuno si immagina l’impero che sta sotto questi aspetti che possono sembrare medievali.
Il problema è che non sanno crearsi gli agganci. Qua non c’è una squadra di Wuhai e fra tutte le scuole non avrai mai una competizione seria e continua. La mia intenzione è quella di istituire un club, il Wuhai FC, per tentare un aggancio tramite partnership con l’Europa, in modo da creare un certo tipo di movimento per uno scambio di cultura e metodo calcistico, per una crescita diversa per il cinese. Un club che inizierà con le scuole calcio e le academy per poi formare una prima squadre e con tutto l’insieme fare tornei fuori dall’Inner Mongolia, in Cina e magari anche extra asiatici.

Associo sempre il calcio cinese a un mezzo di politica soft power, una diplomazia per potersi aprire ai paesi esteri, farsi conoscere e avviare rapporti bilaterali, è quello che vuoi fare.

Io sono l’unico straniero della città, io per loro sono a Marco Polo. Con un club si può fare la storia, una volta che entri in questo meccanismo di scambio bilaterale entrambi i paesi crescono.
Il calcio è diplomazia, ma la gente non lo capisce, o sono scemo io che sono qua da solo o fuori il messaggio non è ancora arrivato. La verità è che qua la vita è difficile, io qua sono casa lavoro, lavoro casa, ma sono qua per cercare di cambiare. Se a un cinese di Pechino gli dici che vivi a Wuhai, lui ti chiede Wuhan? No… Wuhan sta nel centro dove allena Ferrara. Nessuna sa che esiste questa città anche se siamo un milione. Non è possibile che a Melzo, il mio luogo natale, con 16000 abitanti, ci sono 4 club e qua non c’è neanche una scuola per far giocare i bambini. Nessuno ancora ha fatto una pizzeria qua, non è possibile che non ci sia un McDonald, a Xi’an anche di fianco all’esercito di Terracotta ne trovi uno, qua il nulla.
Io attraverso il calcio voglio cambiare le sorti di questa città, voglio aprirgli un mondo, perché ora non sono riconoscibili nemmeno sulla mappa. Sono fra il deserto del Gobi e il Fiume Giallo ed è bellissimo il panorama, ma non c’è niente qua, non c’è una discoteca, una pizzeria, un ristorante… La gente anche se viene qua scappa, nessuno viene qua, perché non ci sono i servizi. Ora la Cina sta bene economicamente, l’unica cosa che cerca è l’opportunità di divertirsi, di spendere i soldi, e qua non c’è.

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Sessione di allenamento

La Cina già di per se è molto difficile da approcciare, con l’adattamento a una cultura completamente diversa dalla nostra. Per quanto riguarda Wuhai e l’Inner Mongolia questo fattore si accentua ulteriormente?

Quando lasci Shanghai non vuoi più vivere, la puoi fare tutto e la vita sembrava fantastica. Qua in Inner Mongolia ti manca tutto, ti manca la libertà, il mangiare, andare fuori, se sei triste son cavoli tuoi, sei da solo. Se esci alle cinque del pomeriggio trovi temperature fino a -20 gradi,  non c’è un ristorante, non c’è un cinema, non puoi vedere un film, internet è lentissimo. O ti metti a piangere come un bambino di due anni, oppure reagisci, ed io ho scelto questa via presentando un progetto di crescita. Se non sei cinese qua non puoi lavorare, devi esattamente sapere come muoverti, come devi parlare, cosa devi regalare, cosa devi accettare. Tutte queste cose sono forti, pensi che non incidono, ma se come nel mio caso il governatore ti regala un cane, e te dici ‘No guarda non posso che sono allergico’, il giorno dopo sei cancellato dalla loro esistenza. Tu non puoi rifiutare un cane dal vice sindaco perché te lo sta dando per proteggerti. Se gli dici che sei astemio, se non riesci a bere con loro, non potrai mi concludere un affare di lavoro. Il primo che arriva qua e dice ‘sono astemio’ non lavorerà mai in Cina. Sembrano particolari, ma i cinesi danno molta importanza alla loro micro cultura.

Hai ricevuto offerte di collaborazione e supporto dall’Italia?

Certamente, ma il problema è che la gente pensa di venire qua e fare la vita. Poi quando arrivano scappano, sai quanti ne ho sentiti che mi hanno contattato per chiedermi ‘Ti serve un collaboratore?’ Anche da società professionistiche. Qua non è Las Vegas, qua non è Cina. Io non posso uscire che tutti sanno dove sono. La mia ragazza è venuta qua e dopo mezzora che ero con lei in giro mezzo milione di persone lo sapevano tramite wechat e il giorno dopo è venuta la polizia in casa per dirmi ‘Questa cosa fa qua’. Se stai con una ragazza di qua te la devi sposare il giorno dopo. Qua sono talmente devoti al lavoro e alla tradizione in modo tale che non puoi cambiare. Puoi dargli delle soluzione, ma non puoi sradicarli dalle loro convinzioni. Puoi mandare qua anche 100 persone ma non faranno niente se non vivi la Cina. Non basta solo parlare il cinese, ci devi saper fare con quest’altra cultura, soprattutto quando si parla di sport, perchè puoi essere chi vuoi, ma non avrai mai il controllo.

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Lezione tattica alla lavagna

La comunicazione interculturale è importantissima. Quello cinese è un popolo con una educazione completamente opposta alla nostra. Il loro apprendimento è mnemonico e questo incide profondamente negli sport situazionali e di squadra. Quale è stato il tuo approccio?

Al cinese devi ripetere 100 mila volte le cose, quindi il primo requisito è la pazienza, che nessuno ha. L’approccio deve essere più amichevole che altro, nel senso che devi essere uno che fa ridere, un amico, che sa giocare con le persone, perché qua il rapporto umano è vissuto in modo diverso. Hanno un profondo rispetto per le gerarchie in tutti gli ambiti, che non li porta ad avare nemmeno un rapporto di famiglia e di gruppo. L’allenatore non dico che lo devi mandare a quel paese, ma uno scambio di opinioni può far uscire il carisma del giocatore. Ci dovrebbero essere più Ibrahimovic e Balotelli qua, perché questo tipo di carattere estroverso farebbe uscire il senso della giovinezza. Qua invece sono tutti uguali, gli devi parlare sempre in un certo, modo, si comporteranno sempre in un certo modo. Non guardano mai alla soluzione a 360 gradi. Gli è stato insegnato che devono agire in un certo modo: se si ritrovano di fronte a un muro e sanno che devono girare a destra, loro gireranno sempre in quella direzione, se tu gliela chiudi la via, non guardano alla loro sinistra e non sapranno che cosa fare, a meno che uno non glielo dici. Il mio approccio dunque è quello di abbassare il livello di gerarchia fra me e loro, per cui spesso mi metto in gioco, cosa che qua non si era mai vista, li prendo a schiaffi, mi prendono a schiaffi…. Prova a toccare un allenatore cinese e a uscirne vivo. Adotto un approccio più forte e gioco anche con loro, in modo che durante la partitella la scivolata e l’entrata da dietro me la fanno, me la tirano una gomitata. Non dico che mi devono spaccare i denti, ma voglio che siano aggressivi, cosa che prima non erano. Posso parlare abbastanza in cinese, poi preferisco paralare inglese, anche per loro, perché devono togliersi il vizio di non voler migliorare, perché i consigli gli entrano da un orecchio e gli escono dall’altro, e non prestano attenzione a quello che gli dici, ovvero la prestano sul momento e la partita seguente non gli frega più niente.

Quindi le gerarchie che sono così rigidamente rispettate, soprattutto in Inner Mongolia sono uno dei problemi principali.

Il vero problema della Cina sono i vecchi, li devono togliere tutti dal mondo del calcio e dello sport. Giocando, vedo che sono gli stessi ragazzi ad essere vecchi dentro, che hanno questa convinzione cieca che quello che gli hanno insegnato sia giusto, e che non vi sia nient’altro al di fuori. E’ inutile che chiamano a Lippi, quei giocatori che ha a disposizione sono vecchi, sono già finiti. L’unica cosa è ripartire con le scuole calcio.
Fra 10 anni la Cina sarà uguale all’Italia, i ragazzi qua sono forti, la gente che dice che in Cina non sono in grado di giocare a calcio sono degli ignoranti. I ragazzini sono fortissimi tecnicamente, ma il problema è chi li comanda, come fa un ragazzino cinese a giocare quando si deve alzare alle cinque e mezza perché qua il pre scuola inizia alle 6:50 per poi tornare a casa alle 19:00?

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Creare un gruppo compatto

Mi è rimasta impressa una frase di Rowan Simons, allenatore inglese che ha fondato la sua scuola calcio negli anni ’90 a Pechino: ‘Ho visto tanta tecnica calcistica, non ho visto una mente’

Non è che non sono in grado di pensare, semplicemente non sono lasciati liberi di farlo. Loro hanno classi da 50 persone, come puoi pensare di fare educazione fisica? Quando andavo a scuola io eravamo in quindici, ma ogni quarto d’ora dovevano chiamare i carabinieri. Questi sono 50, sembrano 50 automi, tutti vestiti allo stesso modo, ma non è solo quello, non perché la ragazza non viene a scuola in minigonna, ma è come gli fanno il lavaggio del cervello. Non hanno vita, sono bloccati. Una delle particolarità dell’Inner Mongolia è che non possono avere la ragazza, fra qua e Pechino sto parlando di Medioevo e 2016. Ragazzine di 20 anni che mi dicono ‘io non posso avere il ragazzo finche non vado all’Università’. Questi fanno casa scuola, scuola casa, e quando giocano a calcio prendono gli schiaffi dagli allenatori… in questo contesto io non giocherei mai a calcio. Il fatto di avere una ragazza non è che deve essere sempre collegato all’esperienza sessuale, ma è anche qualcosa per evadere dallo stress, per sentirti più libero, cose che non gli sono concesse. Poi il calcio lo prendono come un impegno, non più come una passione.

Il calcio viene vissuto come attività ludica o sin dalle elementari è ferrea competizione?

Loro vogliono i risultati, solo questo. Noi abbiamo vinto il torneo con la squadra scolastica di Wuhai, ma solo con questo non dimostri niente. Sai come ho vinto io l’ultimo torneo? Tutte le squadre giocano con il 4-4-2, io per loro ho inventato una nuova cosa, il 3-5-2 con il fuorigioco. Gli ho solamente detto, giochiamo con questo nuovo modulo alti e quando il centrocampista avversario prende la palla l’ultimo dei difensori sale. Noi vincevamo tutte le partite così, perché gli avversari erano sempre in fuorigioco e l’allenatore avversario non riusciva a riparare questa difficoltà. Questo ti sembra un progresso? Ho aggiunto solo il fuorigioco, se mettevo anche il contropiede cosa succedeva? Loro vogliono il risultato in poco tempo. Se lo vedono il capo dice bravo, arrivano i soldi ed è a posto, ma non è calcio, non vedi niente di bello, una mezza rissa, quello che manda al diavolo l’arbitro. Non c’è la furbizia ne un gesto malizioso.

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La squadra di Daniele D’Eustacchio

Da dove si può partire per attuare il cambiamento?

L’unica soluzione è allenare quelli più piccoli per progredire. Il problema è che si spendono milioni di euro per Robinho e Pellè, poi quando vado nelle scuole io, ci sono 18 ragazzini e solo 15 palloni. Ci sono miliardi per portare chi vuoi a giocare nel campionato professionistico, e non vi sono i fondi per farmi avere 20 palloni. Se avessero speso un terzo dei soldi per i giocatori per fare una base giovanile solida fra cinque anni questi vincono la Coppa d’Asia, ma non lo faranno mai, non parliamo dei mondiali, perché solo se li organizzano si qualificheranno. Non lo vogliono fare. Il risultato che si può ottenere è quello di allenatore gli allenatori prima dei ragazzini, perché con la trasmissione della nostra metodologia e la nostra visione di calcio, questa sarà trasmessa alle nuove generazioni.

Si dice che gli asiatici non sono portati al calcio, ma agli sport individuali, come tende a sottolineare il medagliere olimpico della Cina

Ho visto giapponesi e coreani che mettono paura, non mi vengano a dire che gli asiatici non possono giocare a calcio. Son convinto che i coreani son più forti degli italiani. Atleticamente sono migliori, perché corrono dalla mattina alla sera hanno una struttura fisica diversa, da Olimpiade, atleticamente sono devastanti. Il loro problema è il lavoro di squadra.
Nella squadra di Shanghai, ho giocato con un ex dello Shenhua, ti parlo di alcuni anni fa, lui militava nei Blue Devils prima dell’arrivo di Drogba e Anelka. Su 11 giocatori, 7 sono stati squalificati dalle lega per lo scandalo combine, e io giocavo con tre di questi. Questo qua era un difensore centrale, ma forte come lui ne ho visti pochi anche fra i professionisti. Nella nostra lega c’era anche la squadra spagnola e ho giocato contro Francisco Pavòn, ma lui era ridicolo in confronto al difensore cinese. Uno scuola Real Madrid, l’altro scuola Shenhua, cresciuto a riso e broccoli. Questo per dirti che l’Asia c’è, ma non sanno come fare, forse gli unici sono i giapponesi. Anche l’India ci sta provando ora, ma non mi piace il progetto, è troppo dispersivo con due leghe. I ragazzini veramente forti ora stanno a Singapore, ma francamente, mi piacerebbe in futuro strutturare un progetto in Thailandia. A Bangkok c’è la Chelsea School, e stanno investendo molto nelle infrastrutture giovanili, il problema dei thai è che sono molto corrotti, e i fattori calcio, polizia e governo sono controllati per avere un certo tipo di regime e per non uscire troppo dalle aree con le quali sono affiliati: Malesia, Corea, Qatar… per istituire tornei che generano un sacco di soldi.

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Allenamenti nel deserto

Ci focalizziamo sempre sul calcio dei maschi, ma i risultati ci dicono che le ragazze sono molto meglio

Fra i cinesi le ragazze sono più intelligenti, per questo nella pallavolo vincono loro e non i maschi, e lo steso nel calcio. Se qualcuno crede veramente nel calcio femminile come fanno in America e in Germania le cinesi domineranno. In tutte le aziende, anche Jack Ma lo ha detto, non si può lavorare senza le donne (48% di Alibaba sono donne). Le ho viste lavorare a livello statistico, con i numeri, non sono dei computer, sono meglio.

Si parla tanto di riforma giovanile, eppure anche la Chinese Super League è un campionato molto vecchio e le nuove leve iniziano ad affermarsi solo a 22-23 anni.

Il capitano della Cina, Zheng Zhi, ha 35 anni, tutti qua sostengono che è forte, a me non mi sembra. Dietro di lui al Guangzhou c’è Liao Lisheng che è molto meglio. C’è anche un’ala destra dell’Hebei che mi piace molto ed è tutta gente che ha talento. Ma i cinesi continuano a preferire il trentenne. Il problema è che questi non sanno come fare. Ti faccio un esempio, i ragazzi che alleno non gli ho scelti io, non si sono iscritti, ma li ha selezionati uno istruttore di educazione fisica, che guarda a caso non ha mai giocato a calcio. Con che conoscenza e competenza può fare qualcosa del genere? Vedo gente che gioca a basket, che in realtà è molto più forte a calcio, ma non posso prenderli, perché tempo addietro non hanno passato il test per giocare, ma quale test?! Li fanno tirare tre volte in porta e se due volte tirare fuori non li prendono. E’ fuori di testa. Per cui voglio fare una scuola nella quale il ragazzo si iscrive liberamente.

Che svolta deve avvenire dal punto di vista sportivo e culturale?

L’unico cambiamento o sviluppo deve avvenire da dentro, è inutile che porti gente da fuori allenatori e giocatori. Se metti Messi in questa nazionale non renderà comunque. Devi spazzare via l’erba vecchia, estirparla completamente. Io una cosa sulla quale mi impongo è che non voglio gli allenatori vecchi. Perché loro inculcano nel ragazzo tutte delle convinzioni e delle visioni della vita dogmatiche. Inoltre gli allenatori fanno tutto, l’allenatore di calcio gioca anche a calcio, a basket, a pallavolo, a ping pong, e fanno tutto male. C’è sempre il discorso della gerarchia, qua nella scuola c’è il capo dell’Educazione Fisica, e per tutti è il boss, non gli puoi dire niente. Fra insegnati ci si chiama ad esempio ‘insegnate Mario’, io li chiamo tutti per nome, non mi interessa, e loro fanno lo stesso con me, anche se, per il discorso delle gerarchie io avrei l’appellativo di ‘maestro’, neanche fossi Gesù. E’ fuori di testa. Per questa mentalità non riusciranno ad inculcare nulla di positivo ai ragazzi. In me vedono sempre una sorta di pessimismo, ma questo è realismo. Io sono oggettivo, ti posso dire se un ragazzo può migliorare o meno, ma non perché ho la sfera magica, sono 22 anni che gioco a calcio e lo capisco se un ragazzo ha la mentalità, la volontà di imparare. Se te si ragazzi gli dici che la palla la devi passare sempre a destra, loro ti guardano in faccia e dicono ‘si’ e poi battono la rimessa a sinistra, significa che non hanno speranza. Per farti capire questo ci metti 10 giorni, per farti capire tutto il resto un anno, per l’apprendimento del calcio sono 5 anni, e questo è tempo che non ho, e i ragazzi nemmeno, perché se comprendi il calcio a 23-25 anni, cosa vuoi fare nella vita? Per questo l’unica via è lavorare sui bambini di 5 anni.