Soft Disempowerment – come la strategia di persuasione si può ritorcere contro i promotori.

Il soft disempowerment sportivo negli stati arabi, quando la strategia di persuasione si ritorce contro i promotori

Gli Stati Arabi si sono aperti con grandi investimenti in particolar modo nell’ultimo decennio anche attraverso il veicolo dello sport, con l’organizzazione di eventi internazionali, acquisizione di club, sponsorizzazioni di enti turistici e compagnie aeree, oltre all’ingaggio di ex leggende del calcio nel ruolo di brand ambassador o come giocatori per incrementare il livello del campionato locale. L’obiettivo di questi paesi è quello di diversificare la propria strategia, non essere solamente dipendenti dal petrolio e risorse naturali, bensì essere degli attori decisivi nell’industria dell’entertainment e del turismo, dunque non solo calcio, ma anche nel cinema e nello spettacolo l’influenza degli Stati Arabi è sempre più consistente.

Il baricentro dell’entertainment è l’Occidente, ma lo spettacolo viene riadattato per incontrare sempre di più le esigenze del pubblico orientale, che ha maggiori possibilità di spesa, con questo si spiega il grande sforzo dei grandi club e delle leghe calcistiche europee nel vendere il proprio prodotto nella penisola araba e in estremo oriente, allacciando anche proficui rapporti di collaborazione a livello giovanile.

La volontà degli Stati Arabi nel voler spendere nel settore e garantirsi un ruolo di importanza internazionale al fine di perseguire la politica di Sport Washing (sfruttare lo sport per rendere moderna la propria immagine e far distogliere lo sguardo dalla pessima situazione dei diritti umani), incontra l’assenso quasi incondizionato del mondo degli affari e della politica, ma al contempo, può andare a creare dei forti rischi legati al concetto di soft disempowerment. Per capire questo concetto fondamentale, riprendiamo la definizione di International Affairs, The soft power–soft disempowerment nexus: the case of Qatar:

“Soft disempowerment occurs when diverse state and non-state actors—intergovernmental organizations (IGOs), the media, the corporate sector and civil society groups (trade unions, non-governmental/non-profit organizations, online activists and so on)—disseminate information which challenges or discredits the state’s soft power strategies and messages.”

Le sfide del Qatar

Il Qatar prima dell’assegnazione del mondiale non era un paese al centro del dibattito sportivo e sociale. Fino a quel momento il piccolo stato del Golfo aveva un ruolo piuttosto marginale nel contesto sportivo internazionale, con l’organizzazione di una gara di MotoGP oppure per il torneo Open di Tennis. Il 2 dicembre del 2010, a Zurigo, fra il clamore generale, si sono assegnate le edizioni della Coppa del Mondo a Russia e Qatar, con il piccolo stato del Golfo che riuscì a battere la concorrenza di Stati Uniti e Inghilterra. In quel momento è cominciata l’ascesa del Qatar come attore fondamentale nello sport internazionale.

Il calcio fa parte di un disegno molto più ampio portato avanti dal fondo della famiglia reale, la Qatar Investment Authority (QIA), che ha messo radici nel tessuto economico globale attraverso un esteso sistema di acquisizioni. La QIA ha quote nel gruppo Volkswagen, nella Barclays (la banca che ha sponsorizzato la Premier League fino al 2016), nel settore petrolchimico malesiano, ha oltre 200 milioni di dollari di proprietà immobiliari in India, nonché uno stretto accordo con la Agricultural Bank of China.

I principali investimenti del fondo qatariota in Europa

Questa strategia così diversificata ha portato a grandi benefici per il Qatar: come riportato da peninsulaqatar.com, il numero di turisti che ha visitato lo stato del Golfo nei primi 7 mesi del 2019 è stato di 1.19 milioni, un incremento del 10.7% rispetto allo stesso periodo del 2018. Aumentano anche gli investimenti diretti esteri in Qatar, grazie sopratutto alle politiche di maggior apertura e privatizzazione, tanto che a metà 2019, gli investimenti in Qatar ammontavano a circa 209 miliardi di dollari, un incremento dell’11% rispetto all’anno precedente.

Il Qatar cerca di costruire il proprio consenso internazionale anche attraverso le celebrità dello spettacolo: nel marzo del 2019 a Doha si è tenuta un imponente inaugurazione del museo nazionale nella cornice dell’evento ‘Fashion Trust Arabia’, con la famiglia Al Tani che ha accolto fra gli altri Naomi Campbell, Victoria Beckham, Carla Bruni e l’ex presidente francese Sarkozy, Jose Mourinho, Johnny Depp e tanti altri ancora.

Naomi Cambpbell alla Fashion Trust Arabia del 2019

Vi è da considerare anche l’altra faccia della medaglia: il tentare di esporsi come nuovo attore fondamentale in vari settori, rischia di attrarre le attenzioni dei media e delle organizzazioni umanitarie verso i problemi pandemici all’interno del paese. Il Mondiale del Qatar si è subito messo sotto i riflettori per una questione estremamente tragica, quella delle migliaia di lavoratori immigrati che sono morti nella costruzione degli stadi.

L’osservatorio Internazionale dei diritti umani ha riportato che 1400 persone hanno perso la vita dall’inizio dei lavori nel 2010. Per oltre un decennio, con il ben placito della Fifa, in Qatar è stata in vigore la legge della kafala, la quale vincola il lavoratore immigrato al suo padrone per 5 anni con la conseguente confisca del passaporto. “Le autorità del Qatar hanno adottato alcune misure importanti per proteggere i diritti dei lavoratoriha dichiarato Stephen Cockburn, Deputy Director of Global Issues at Amnesty International. – ma è necessario fare molto di più. I buchi nelle riforme fino ad oggi significano che molti lavoratori sono ancora bloccati in condizioni difficili, vulnerabili allo sfruttamento e agli abusi, mentre quelli che tornano a casa lo fanno a mani vuote, senza compenso e giustizia.” Nonostante i continui moniti di Amnesty International nel corso degli anni, che ha messo in luce il sistema di schiavitù vigente in Qatar, solamente le Federazioni calcistiche di Inghilterra e Germania hanno debolmente espresso il proprio disappunto minacciando di boicottare il mondiale, parole che, non hanno avuto un seguito.

Cantieri degli stadi in Qatar

La corruzione nell’assegnazione del Mondiale in Qatar è stato un altro argomento molto dibattuto. Nel giugno del 2019 l’ex presidente della UEFA, Michel Platini, è stato posto in custodia cautelare ed interrogato a seguito delle indagini del Consorzio investigativo Europeo. Secondo le ricostruzioni del giornale d’inchiesta Mediapart, il 23 novembre del 2010, il palazzo presidenziale francese, l’Eliseo, ospitava una tavolata alla quale sedevano proprio Michel Platini, il principe ereditario Al Tani, oltre a Claude Gueant, segretario dell’Eliseo. Esattamente nove giorni prima dell’assegnazione del Mondiale, si decise il destino del calcio Europeo: Micheal Platini avrebbe garantito il proprio voto al Qatar, ed in cambio il fondo reale qatariota si sarebbe impegnato nell’acquisizione del Paris Saint Germain oltre ad investire nel gruppo Legardere. Questo è solamente l’ultimo capitolo della lunghissima trafila di indagini relativi alla corruzione del Mondiale.

Oggetto di forti discussioni sono state anche le estreme condizioni climatiche che hanno costretto a spostare il Mondiale dall’estate al mese di novembre. Nel settembre del 2019 in Qatar si sono tenuti i Mondiali di Atletica Leggera, il cui risultato a livello di immagine è stato alquanto disastroso: stadi vuoti e condizioni climatiche con un elevato tasso di umidità non adatto alla competizione sportiva. Le immagini più drastiche si sono viste durante la maratona. L’atleta Lynsday Tessier ha dichiarato dal Daily Telegraph: “Vedi qualcuno per terra lungo il percorso e ciò è semplicemente sconvolgente, spaventoso. Potrebbe toccare a te nel prossimo chilometro, o nei prossimi 500 metri. Sono grata per il solo fatto di aver terminato la gara in piedi”.

Il soft disempowerment si è acuito nel 2017, quando l’Arabia Saudita e gli altri Stati del Golfo hanno deciso di tagliare i ponti diplomatici con il Qatar, accusando il paese di sostenere il terrorismo (la situazione è molto più complessa ed ha a che fare con la vicinanza del Qatar all’Iran sciita, in quanto condividono ampie risorse energetiche, con l’Iran che è acerrimo nemico dell’Arabia Saudita sunnita). L’Arabia Saudita in primis, ha dichiarato una guerra diplomatica contro il Qatar e proprio per questo, cerca di mettere in cattiva luce l’avversario, presentandosi contemporaneamente al mondo sotto una nuova veste, quella riformista voluta dal principe ereditario Mohammed Bin Salman.

Anche il calcio è finito nell’occhio del ciclone della guerra diplomatica nella Penisola Araba. In un ultimo disperato tentativo, al fine di ristabilire i rapporti fra i paesi coinvolti, Gianni Infantino, presidente della FIFA ha proposto al Qatar di allargare la competizione da 32 a 48 squadre coinvolgendo nell’organizzazione anche i paesi vicini, dunque gli oppositori UAE e Arabia Saudita, che attendevano l’occasione per strappare al Qatar parte del Mondiale, oppure i neutrali Kuwait ed Oman. Ma alla fine, Doha ha deciso di proseguire per la propria strada e sarà proprio l’edizione del 2022, che emetterà il giudizio globale nei confronti del Qatar. Se sarà un disastro (soft disempowerment) come per il Mondiale di Atletica Leggera, oppure un successo di Soft Power come per la Coppa del Mondo del 2018 in Russia, sarà i tempo a dirlo.

L’Arabia Saudita fra il ruolo delle donne e l’omicidio Khassoggih

Newcastle United

Il Qatar non è l’unico paese nel quale lo sport, da iniziale veicolo di sport washing, rischia di acuire il fenomeno del soft disempowerment. I vicini dell’Arabia Saudita, anche se con qualche anno di ritardo, stanno attraversando lo stesso processo, in quanto lo sport, nella strategia del principe ereditario Mohammed Bin Salman, diviene un elemento centrale.

Pensiamo alla Super Coppa italiana e alle innumerevoli polemiche che vi sono state per quel che concerne il ruolo delle donne, che nel 2018 erano confinate in uno specifico settore dello stadio, limitazione che poi è stata rimossa per l’edizione 2019. Se la questione femminile ha creato non pochi disappunti fra l’opinione pubblica, ancora più grave è stato l’omicidio del giornalista dissidente Khasshoggi, delitto il cui mandante è stato proprio il governo saudita. L’ignobile gesto ha fatto si che si interrompessero varie trattative fra il fondo reale saudita ed alcune aziende di Hollywood, non interessate a trattare con sanguinari assassini.

L’Arabia Saudita tenta di fare il grande colpo in tempo di covid-19 con l’acquisizione del Newcastle United: il tutto ora è in mano all’organo di controllo della Premier League che dovrebbe solamente dare il vaglio per far si che l’operazione si concretizzi. Eppure, in maniera del tutto curiosa, Amnesty international ed il Qatar (rappresentato dall’emittente BeIn Sports) si oppongono al completamento dell’acquisizione: i primi per le ovvie ragioni riguardanti i diritti umani, i secondi perchè accusano l’Arabia Saudita di hackeraggio.

Il nodo cruciale nell’operazione Newcastle è dato dal fatto che l’Arabia Saudita attraverso l’emittente pirata BeoutQ intercetta il segnale di BeIn Sports per trasmettere la Premier League sul proprio territorio e nel resto della Penisola Araba. La WTO (World Trade Organization) si è subito schierata a fianco della società di Doha e tutt’oggi è un dibattito aperto che non vede fine, impedendo di portare a termine l’affare che permetterebbe al principe ereditario Mohammed bin Salman, l’acquisto della quota di maggioranza dei Magpies (80%, visto che un 20% sarà dedicato all’ideatrice dell’affare Amanda Staveley).

La risposta di Riyadh non ha tardato ad arrivare, affermando, con molto scetticismo da parte degli inglesi, che BeoutQ sia una società appartenente alla Colombia, ma allo stesso tempo, sembra aver oscurato il servizio, cercando di allinearsi alle richieste della World Trade Organization e della Premier League.

In questa storia, l’Arabia Saudita non ne esce sicuramente pulita ed un eventuale blocco delle trattative da parte dell’organo di controllo della Premier League, darebbe un segnale forte: Riyadh non è la benvenuta.