L’avventura cinese di Paul Gascoigne

Gazza, Gazza! What’s the score? “Gazza, Gazza! Quanto siamo?” Il coro di scherno viene dalla curva più accesa dei tifosi del Cheltenham Town FC, subito dopo il gol dell’1-0 segnato dalla squadra locale. Chissà quanti giocatori avrebbero replicato alla presa in giro facendo finta di non sentire… o magari mostrando un dito medio o le corna à la Cassano.

Invece, beffardo quanto geniale, Paul Gazza Gascoigne si alza dalla panchina degli ospiti del Boston United e rivolgendosi verso la curva fa segno con le mani: uno a zero.

Ridono tutti, tra cui il sottoscritto che in quella giornata è presente a tifare Cheltenham con due amici del posto, e Gazza torna a sedere: è bastato quel piccolo gesto ironico per trasformare l’atmosfera dello stadio di Whaddon Road e per rendere quella giornata indimenticabile. Ci ritornerò in seguito.

GAISCOGNE IN CINA

E’ l’agosto del 2004 e il campionato è la League Two inglese – equivalente alla nostra Serie C2 di allora. Si tratta, per Gascoigne, della prima partita dal suo ritorno in Inghilterra dopo l’avventura cinese dell’anno precedente.

Eh sì, perché prima dei Jackson Martinez, dei Gilardino e degli Alex Teixeira dei giorni nostri era stato l’ex numero 8 ed enfant prodige della Nazionale dei Tre Leoni ad avventurarsi in Oriente, più che per una ragione economica – per quanto appetibili, le 500.000 sterline di allora non erano certo paragonabili agli ingaggi milionari della Cina di oggi – per tentare una fuga disperata dalle proprie dipendenze.

La squadra a cui Gascoigne aveva prestato la sua classe si chiamava Gansu Tianma, militante nella seconda divisione cinese, con sede a Lanzhou, nella Cina nord-occidentale, città le cui attività ruotano attorno al petrolchimico e all’industria pesante: non propriamente un giardino dell’Eden, insomma.

E infatti, non appena l’amico storico Jimmy Five Bellies – Jimmy Cinque Pance – Gardner tornò in Europa furono subito tempi bui per Gazza, rimasto solo in un paese la cui cultura, cibo e lingua gli erano totalmente estranei. Piccola nota cattivella proprio a proposito della lingua: tanti miei amici inglesi sostengono che anche l’inglese stesso sia perlopiù alieno al buon Gazza.

Fatto sta che, dopo aver firmato un contratto di nove mesi con inizio a febbraio 2003, già ad aprile Gascoigne fuggì in una clinica negli Stati Uniti a curarsi la depressione. Una volta riabilitato, però, fu lo scoppio dell’epidemia di SARS a impedirgli il ritorno sui campi cinesi, in quanto i restanti match della stagione vennero cancellati. Dal punto di vista calcistico, di quell’esperienza rimangono dunque solo le misere quattro partite – con due gol messi a segno, però – giocate da Gazza con il Gansu Tianma, nel quale il fuoriclasse inglese rivestiva anche l’incarico di aiuto-allenatore.

E’ quindi più per i succosi aneddoti – e come potrebbe essere altrimenti con un personaggio del genere – che per l’aspetto tecnico-calcistico che l’esperienza cinese dell’ex centrocampista della Lazio lasciò il segno. Per esempio, Gazza racconta di quando, annoiato a morte, decise di andare a pescare, peraltro con successo, costruendosi la canna da pesca con del bambù al quale appese come esca un biscotto simile ai dolcetti inglesi Jammie Dodger.

Altrettanto pittoresca è la sua descrizione di come nell’albergo in cui alloggiava dovesse esprimersi a gesti per farsi capire ogni volta che voleva dell’acqua: conoscendo la mimica e il carattere vulcanico di Gascoigne e immaginando il contesto di incomunicabilità da film di Antognoni, viene spontaneo farsi una risata di gusto: i diversivi da shock culturale non furono tuttavia sufficienti per allungare la permanenza cinese di Gazza.

A CUORE APERTO

Ed ecco quindi, a distanza di un anno, che mentre viaggio sul treno verso Cheltenham mi imbatto nell’intervista senza giri di parole rilasciata a un giornale locale, nella quale Gascoigne ammette candidamente che attraverso il trasferimento in Cina egli avesse in realtà cercato di scappare da sé stesso e dalle sue dipendenze, senza peraltro riuscirci nemmeno un po’.

Più ancora della sua immensa classe, sono proprio la sua sincerità – è estremamente difficile per gli inglesi parlare dei propri problemi personali – e al tempo stesso l’essere così incapace di nascondere le sue debolezze – talvolta in modo davvero goffo: vi ricordate quando fu paparazzato a mangiare il kebab mentre doveva essere a dieta per guadagnarsi un posto per Francia ‘98? – a rendere comunque Paul Gascoigne così umano e così vicino al pubblico inglese appassionato di football.

Sebbene quel giorno nell’agosto 2004 Gazza arrivi da avversario e nonostante le sbronze di alcol e Red Bull e le abbuffate di gelati e pesce essiccato – sì, avete letto bene – basta quindi quel semplice gesto beffardo con le mani a mimare: “1-0” per ricordare a Whaddon Road che Gazza è semplicemente un uomo, le cui debolezze ma anche il cui senso dell’ ironia non sono poi così diversi da quelli di tante persone presenti quel pomeriggio allo stadio.

Il risultato, al termine della partita, è una standing ovation sincera e spontanea che suona tanto di incoraggiamento a non mollare nella vita di tutti i giorni.