La Cina tra pericolo ed opportunità: gli otto motivi per cui il calcio cinese conta

La Cina tra pericolo ed opportunità: gli otto motivi per cui il calcio cinese conta (Prima parte)

Qualsivoglia “questione cinese” è stata, nel corso della storia, trattata come una contesa, una sorta di lotta tra due fazioni contrastanti: da una parte i predicatori di un “pericolo giallo”, dall’altra i sostenitori della tesi “Cina come opportunità”, spesso puramente economica. L’oscillazione di questo pendolo tra pericolo ed opportunità è iniziato sin dal XII secolo con la paura delle invasioni mongole (le truppe di Gengis Khan) e, continua ancora oggi con la grande bugia che la Cina sia, ad oggi, il più grande mercato del mondo.

Ma quanto si conosce la Cina? Calcio8Cina è nato per sopperire in parte alla mancanza di conoscenze di questa civiltà. Abbiamo così pensato di prendere il calcio come un pretesto, per parlare di Cina. Parlare di calcio senza parlare però solo di calcio. Proprio come nell’articolo di oggi in cui parleremo di calcio (in cinese , zúqiú) senza parlare però solo di zú (piede) e qiú (pallone). Tratteremo, nello specifico, alcuni temi caldi che coinvolgono la Cina e la sua crescita calcistica tra cui il suo modello di sviluppo e i supposti “piedi di argilla” del Dragone.

L’economia cinese: la rinascita dell’impero

Parlare di economia in Cina, non significa parlare solamente di soldi. Viene naturale pensarlo in qualsiasi parte del mondo, ma questo vale ancor più in un paese guidato da un partito (il partito Comunista Cinese) che anche se è riuscito ad integrare il paese all’interno del sistema economico internazionale, mantiene alcuni tratti specifici, che lo contraddistinguono da qualsiasi altro paese al mondo. Come specificato nella spiegazione della “teoria del collasso”, si tenta sempre di adattare la realtà sulla base delle nostre categorie mentali. Lo stesso processo viene applicato nel caso Cina, non riuscendo a cogliere l’idea che la Cina, da un punto di vista politico, ed economico, rimane un’entità a sé stante, non paragonabile: un’identità alternativa, con caratteristiche proprie e non trasferibili.

Nel tentativo di raccontare questa unicità è utile ricordare almeno 3 elementi fondamentali della storia dell’economia cinese:

  1. Il boom economico della RPC che tutti conosciamo, quello cominciato idealmente nel 1978 (anno di inizio ufficiale della “politica della porta aperta”), ad oggi è solo un lontano, seppur molto significativo, momento della storia economica cinese. Come è possibile osservare infatti dal grafico [fig.1], quello a cui siamo assistendo oggi è in realtà solamente un ritorno della Cina al centro dell’economia mondiale. Al suo apice, ovvero intorno alla fine del 1700 (fine XVII secolo), il PIL (prodotto interno lordo) o GDP (Gross Domestic Product) dell’Impero cinese, sotto la dinastia Qing (1644-1911) contava per 1/3 rispetto al GDP mondiale. Tanto per capirci: l’Europa era solo un barlume di ricchezza tra l’est del mondo (Cina e India) e il nulla, rappresentato dagli Stati Uniti, praticamente inesistenti ed insignificanti per il resto del mondo.

[fig. 1 Storia dei 2000 anni dell’economia mondiale]
Fonte: Statistics on World Population, GDP and Per Capita GDP, 1-2008 AD, Angus Maddison

Reperibile online sul sito: http://www.visualcapitalist.com/2000-years-economic-history-one-chart/ (ultimo accesso 8/03/2018)

  1. Secondo elemento fondamentale: dalla fondazione della RPC (1° ottobre 1949), la Cina è passata da una economia chiusa e pianificata (basata sui piani industriali quinquennali), ad un’economia, per la maggior parte, aperta e di mercato pur mantenendo specifiche “caratteristiche cinesi” (in breve: un’economia panificata, ma inserita nelle dinamiche economiche internazionali). Alla stragrande maggioranza degli economisti liberisti di oggi (in favore delle privatizzazioni, del libero mercato e della concorrenza senza interferenze dello Stato), sostanzialmente d’accordo con il WTO (World Tarde Organization) nel non attribuire alla Cina la denominazione di “economia di mercato” a tutti gli effetti (non ancora da parte del WTO), sfugge sempre di ricordare quanto la Cina sia stata in passato più avanti dell’Europa da questo punto di vista: all’apice dell’Impero Qing, fissato nell’anno 1793 [fig. 2], la privatizzazione delle terre era oramai una prassi consolidata. Lo stesso non si può certo dire dell’Europa, in cui la privatizzazione della terra arrivò solamente dopo il periodo Napoleonico. In questo determinato momento storico, le condizioni di vita, in Cina, erano bel al di sopra degli standard europei.

[fig.2 Let’s party like it’s 1793]
Reperibile online all’indirizzo: https://plus.google.com/+TheEconomist/posts/TbL6hK1F36s 
Ultimo accesso in data 8/03/2018

3) Terzo e ultimo pilastro: la crescita economia e il conseguente benessere per la popolazione che ne derivò durò almeno fino alla prima metà dell’Ottocento, quando qualcosa di impensabile arrivò a distruggere i corpi, i cuori e le menti della civiltà cinese e dei cinesi. La prima guerra dell’Oppio (1839-1842) e la seconda guerra dell’Oppio (1856-1860) [fig. 3] scardinarono definitivamente il sistema di valori su cui si era retta la civiltà cinese fino a quel momento. Per capire meglio questo passaggio occorre ricordare che:

la parola stessa Cina deriva, etimologicamente parlando, da Qin, la dinastia imperiale che tra il 221 a.C. e il 206 a.C. regnò e unificò per la prima volta il paese. Questo appellativo le fu conferito dai portoghesi che a loro volta lo appresero, da indiani o malesi, nei loro viaggi esplorativi in Asia. Tuttavia non rappresenta il modo attraverso cui i cinesi connotavano il proprio paese. Essi infatti usavano, ed usano ancora oggi, il termine Zhongguo (中国, zhōngguó) ovvero “il paese al centro”. Potrebbe sembrare una pura nota di servizio, ma è invece cruciale comprendere la posizione di partenza della cultura cinese nei confronti di tutto ciò che proveniva dall’esterno, definito spesso come “barbaro”. Compreso questo primo punto, sarà più facile comprendere, in seguito, lo shock che le invasioni da parte delle potenze straniere causarono a coloro i quali si credevano i portatori della più alta cultura presente sulla faccia della terra. L’arrivo delle potenze straniere nel ruolo di invasori, scombinò e fece crollare quel senso di superiorità culturale che i cinesi si erano da sempre attribuiti. Da quel momento in poi iniziò quello che è stato definito “il secolo delle umiliazioni”, ovvero i cento anni che hanno seguito l’attacco dell’esercito inglese nel 1839, data di inizio della prima guerra dell’Oppio, nei confronti della Cina.

Il ritorno della Cina al centro del mondo ha coinciso anche con l’affermazione della Cina come superpotenza sportiva a livello mondiale e le Olimpiadi di Pechino del 2008 hanno costituito la conclusione ideale di questo percorso.

Fonte: Storia del calcio cinese dalle origini ai giorni nostri, Marco Bagozzi e Andrea Bisceglia, Bradipolibri, 2017

Come conseguenza di questi tragici eventi, la Cina è stata costretta ad adattarsi al modello occidentale. Si è trattato, come detto, di un enorme shock iniziale che ha dato il via al cosiddetto 百年国耻 (bǎinián guóchǐ ), “il secolo dell’umiliazione nazionale” che ha però permesso alla Cina di scuotersi dal torpore che la civiltà cinese stava vivendo ed arrivare, oggi, a competere con il resto del mondo, in tutti i campi dello scibile umano, sport compreso. O almeno, quasi tutti gli sport, ad eccezione del calcio.

[fig. 3 Combattimenti a Canton durante la seconda guerra dell’oppio]Reperibile online all’indirizzo https://it.wikipedia.org/wiki/Guerre_dell%27oppio#/media/File:Second_Opium_War-guangzhou.jpg, ultimo accesso in data 8/03/2018